Trieste: non ha casa né lavoro ma fa volontariato

Ayoub è marocchino, a Trieste vive in strada da quando ha perso il lavoro ma non ha perso l’animo gentile e trascorre le giornate alla Comunità di Sant’Egidio per aiutare le persone povere e sfortunate come lui.

Una storia toccante che arriva da Trieste: trentenne, sempre in ordine e profumato, il destino di Ayoub è però complicato. Da mesi il giovane vive in strada per assenza di strutture per l’accoglienza, da poco tempo ha trovato posto in un dormitorio ma non riesce a trovare lavoro. E così le sue giornate le spende ad aiutare i poveri: prepara e distribuisce i pasti nella sede locale della Comunità di Sant’Egidio.

AYOUB
di Marina Del Fabbro

A vederlo non si direbbe. È sempre a posto, capelli e barba in ordine, abiti puliti. Eppure Ayoub, un giovane marocchino di circa trent’anni, è uno dei tanti migranti che per mancanza di strutture di accoglienza, la più grande vergogna di Trieste, città civilissima, deve vivere per strada e dormire all’aperto, nel piazzale davanti alla stazione.

“Ayoub, in piazza d’inverno, con il freddo, la pioggia, la bora… ma come fai?”, chiedo. “È la vita, maestra: persone buone dare coperta”, mi risponde. Recentemente ha trovato posto in un dormitorio. È per tre giorni. “Io dopo chiede ancora”, mi spiega. Per lavarsi e fare il bucato va al centro diurno, e per pranzare va alla mensa della Caritas. Nonostante queste disastrate condizioni non ha perso garbo nelle movenze e una naturale finezza. È anche riuscito a mettersi in regola: ci tiene a mostrarmi il verbale del suo colloquio per la richiesta di permesso sussidiario, la tessera sanitaria, tutti i documenti. Aiutandosi con il cellulare, cerca lavoro e mi racconta la sua vita.

Ayoub è nato in una cittadina a pochi chilometri da Marrakech, ha lavorato per alcuni anni in un cantiere che mi mostra con soddisfazione: “Carpentiere, maestra, io carpentiere!”, dice. Alcuni anni fa “vicini cattivi, grandi problemi, papà morto, mamma e fratelli scappa da parenti”, racconta. Lui è il maggiore dei fratelli. Ha dovuto lasciare il Marocco e ha versato ai trafficanti diverse migliaia di euro per un posto in una barchetta dove, stipato all’inverosimile. assieme ad una cinquantina di altri fuggitivi in 72 ore di navigazione è arrivato alle Canarie. Qui “persone buone”, dice, della Mezzaluna Rossa lo hanno fatto arrivare in Spagna, dove ha lavorato. Ma i documenti non erano a posto, quindi si è spostato in Francia e da lì in Italia: Milano, Desenzano, Mantova e adesso Trieste.

“Paura in barca? No, maestra, mare tranquillo: no paura. Mangiare? Mezzo pane, solo sera: basta. Contro freddo coperta e bottiglia per bisogni”, spiega percorrendo le sue giornate. Mi mostra la barca, è davvero minuscola, una barchetta: come hanno fatto a starci in tanti, mi chiedo, un vero miracolo che non si siano rovesciati. Poi ci sono le foto di cucine di marca: le ha montate lui, nelle varie città in cui è stato. Sa fare un po’ tutto. Anche in Marocco, se nel cantiere c’era poco lavoro, lui scendeva lungo la costa e dava una mano ai pescatori. Mi mostra immagini di coste incantevoli, porticcioli, spiagge, acque cristalline e anche di piatti raffinati a base di pesce, verdure e cous cous. “Cucina io questo”, dice indicando le pietanze.

E adesso, vive in strada. “Che cosa fai durante il giorno?”, gli domando. “Io giorno in via Romagna 22, io volontario, io guarda cosa fare, pulisce, aiuta, dà borsa”, mi spiega. E io capisco così che fa il volontario nella sede della Comunità di sant’Egidio: lui che non ha niente, ma proprio niente, va a distribuire le borse della spesa e prepara i panini per chi ha bisogno. Io forse riuscirò a insegnargli un po’ di italiano, ma certamente lui mi sta insegnando a vivere.

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