Omicidio a Modena: lettera dei volontari Penny Wirton

La tragica rissa, culminata con l’omicidio del giovane Muhammad Arham al parco Novi Sad di Modena, sta alimentando il solito strascico di polemiche locali a sfondo razziale.

Muhammad Arham aveva 16 anni, studiava l’italiano alla Penny Wirton di Modena. La notizia della sua morte sta diventando occasione per colpevolizzare le vittime e assolvere i carnefici.

È ora che chi ha a cuore la sicurezza urbana cominci a occuparsi – anche, prima, e soprattutto – di politiche sociali. Accoglienza, inclusione, protezione di coloro che sono svantaggiati, economicamente e socialmente: così si garantisce la sicurezza nelle nostre città, non con l’elenco sulle lavagne in cui si dividono i “buoni” dai “cattivi” e si dà l’ennesima lettura superficiale della realtà.

Crediamo in un altro mondo, in un altro futuro. E ci crediamo perché nelle nostre scuole è già realtà.

Rilanciamo e sottoscriviamo la lettera aperta dei volontari della Penny Wirton di Modena, scuola di italiano gratuita per migranti.

In ricordo di Muhammad Arham

Arrivano alla scuola da soli o con altri amici. Restano in cortile o all’ingresso, in attesa di un saluto, un sorriso, un gesto di benvenuto. Poi si siedono ai tavoli e per due ore, in gruppetti di due o di tre, con l’aiuto dei volontari, si impegnano a studiare la nostra lingua, a partire dai suoni più difficili, dalle parole di uso quotidiano, da brevi frasi per riuscire a presentarsi o a chiedere un’informazione e poi avanti fino ad arrivare alle regole più complesse e a quelle domande che tu, italiano, non ti eri mai posto: “Che differenza c’è tra andare e venire?” o “Nelle forme del passato quando ci vuole il verbo essere e quando il verbo avere?”. Qualcuno deve cominciare dalle lettere del nostro alfabeto e imparare con pazienza a formare le prime sillabe e a leggerle. Altri arrivano che già capiscono e leggono l’italiano, ma vogliono sentirsi più sicuri nel parlarlo; c’è chi non è mai stato a scuola e chi si è laureato in un paese da cui è stato costretto a fuggire. Ma tutti, lo vediamo ogni volta e ne restiamo ammirati, si applicano con serietà e costanza, concentrati e desiderosi di imparare, perchè “la parola è la chiave per tutti gli usci”, come diceva don Milani, ma anche perché esprimono la loro riconoscenza a noi volontari dimostrando di aver capito e imparato cose nuove.

Si lavora bene insieme, soprattutto con quelli più giovani, i minorenni non accompagnati ospiti nelle comunità del nostro territorio di cui tanto si parla e si sparla in questi giorni a seguito della morte di Arham, nostro studente anche lui, arrivato da poco e come gli altri gentile e volonteroso. Ci ferisce leggere ancora una volta nelle cronache locali l’immediata associazione tra questo tragico evento di cui non si conosce ancora nulla e lo spaccio di droga ai danni della nostra comunità, giudicare automaticamente la stessa vittima colpevole alla pari del violento che lo ha colpito, per suscitare ancora una volta allarmismo paralizzante e ostilità verso gli immigrati.

Li guardiamo adesso questi ragazzi, ancora più di prima, e vediamo in loro tante potenzialità, lo stesso desiderio di essere riconosciuti e amati che hanno i nostri figli e tutti gli adolescenti del mondo, eppure ancora più fragili, a metà così come sono tra due mondi diversissimi, quello da cui provengono e che continuano a frequentare attraverso i social e quello indecifrabile e spesso avvertito come respingente della nostra città, dove sono approdati dopo viaggi lunghissimi e pericolosi, che li hanno segnati duramente.

E tra il disorientamento e la fatica di capire le contraddizioni della nostra società, possono essere decisive le ore vuote di certi pomeriggi e gli incontri con persone sbagliate, così come può essere moltiplicatrice di vita e di bene per questi ragazzi conoscere qualcuno che si metta al loro fianco e li accompagni nei loro intricati percorsi. Certo è prezioso il lavoro sempre più intenso e insostenibile degli operatori delle comunità educative che accolgono minori, gestite da istituzioni, tra cui il Comune di Modena, associazioni no-profit, organizzazioni religiose. Certo è anche necessario ripensare le politiche dell’immigrazione, ma è soprattutto con il coinvolgimento di tutta una comunità civile che si può rispondere e agire per “rimuovere quegli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana” (art. 3 della Costituzione Italiana) offrendo a questi giovani, desiderosi di lavorare e di farsi apprezzare, opportunità di inserimento in vari contesti, (ad esempio squadre sportive o associazioni musicali) ed esperienze ricreative all’interno delle nostre famiglie.

L’aumento della sicurezza urbana non si ottiene tanto con l’incremento delle telecamere o delle forze dell’ordine nei luoghi della nostra città, ma promuovendo piccoli gesti di accoglienza e offrendo occasioni positive in cui anche i migranti che vengono da noi possano trovare spazi in cui sentirsi utili e riconosciuti.

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