Migranti: via dal Nepal per amore

Jayaram e Hira, giovane coppia nepalese, si amano. Però, c’è un però come in ogni grande storia d’amore, nel loro Paese li dividono le differenze sociali: lui è di casta bramina e lei dalit. Così, per povertà ma sopratutto per amore, hanno lasciato il Nepal. Jayaram ha lavorato come magazziniere prima ad Arezzo e poi a Roma. Hira, dopo aver fatto la badante a Torino per alcuni mesi, lo ha raggiunto nella Capitale. Lo scorso anno hanno frequentato la Penny Wirton, scuola di italiano gratuita per migranti, a Trieste e poi grazie a una rete di amici hanno trovato una sistemazione fuori città.

Qualche settimana fa hanno ritrovato la loro insegnante volontaria, Marina Del Fabbro, in occasione di una visita a Trieste. E questa è la sua testimonianza.

“Che festa rivederci”, racconta Marina Del Fabbro. “Abbiamo sfruttato il tempo al massimo: serata in pizzeria con la mia famiglia, una visitina alla città che loro, arrivati poco prima del lockdown e partiti poco dopo, non avevano potuto conoscere. Un caffè in uno dei più prestigiosi bar storici di Trieste dove abbiamo chiacchierato a lungo e ho anche conosciuto una loro amica, nepalese come loro ma mongola. E poi lo scambio di regali: da parte mia qualche genere di prima necessità ma da parte loro, davvero commovente, una cornice in cui avevano inserito ben montate alcune delle più allegre foto mie e di mio marito che avevo inviato loro durante l’inverno. Tra una confidenza e l’altra mi hanno raccontato meglio la loro storia. Non è stata solo la povertà a farli uscire dal loro Paese, ma principalmente la differenza di casta: la famiglia di lui, bramina, non poteva accettare lei, dalit. Così sono scappati. Ma se riusciranno a guadagnare abbastanza, inviare denaro alla famiglia e conquistarsi un certo benessere confidano di potersi riscattare agli occhi dei familiari. E io sono certa che ce la faranno perché entrambi di iniziativa e determinazione ne hanno, eccome. Lui ormai lavora a tempo pieno. Lei non solo è riuscita a farsi assumere in una piccola fabbrica di mascherine, ma si è anche fatta benvolere dalla barista sotto casa che ha promesso di farla lavorare qualche mezza giornata per «fare capuccino». Certo: devono lavorare il doppio delle ore segnate sul contratto, lo stipendio è bassino, non riescono a vedersi perché lei è libera il sabato e lui la domenica, ma «bene così», dicono. Anche perché l’obiettivo di Hira è ottenere un diploma di massaggiatrice per poter lavorare in qual campo, come già faceva in Nepal e magari, sogno nel cassetto, aprire in futuro uno studio suo. «E poi: io fa massaggi per te»”, dice.

Ora hanno appena ottenuto il permesso di soggiorno per cinque anni e Hira ha già cominciato a lavorare in un centro estetico come massaggiatrice.

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