Trieste: Faris, Parween e Jumana, incontri fuori scuola

Accanto alle lezioni di italiano alla Penny Wirton si creano relazioni speciali che varcano i confini delle lezioni

Alla Penny Wirton, scuola di italiano gratuita per migranti, si svolgono decine e decine di lezioni ma il valore aggiunto sono le relazioni umane che si creano tra insegnanti e studenti, tra volontari e migranti, e che vanno oltre le porte delle aule. Ne è testimonianza questo quadretto che arriva da Trieste.

Piccole e grandi cose oltre la scuola
di Marina Del Fabbro

Lezioni di italiano, certamente. Ma la Penny Wirton è fatta anche di tante piccole (o grandi) cose. A settembre Faris, la giovane afghana che avevo seguito l’anno scorso, non si è fatta più viva. Così la invito a bere insieme un caffè. Abbiamo tanto da raccontarci, specialmente lei: non è più venuta a scuola perché in estate ha iniziato due gravidanze, che però purtroppo si sono entrambe interrotte ai primi mesi. Deve restare a riposo. In realtà è serena, anche perché è certa che la prossima andrà bene: il mese scorso lei e il marito hanno fatto lo hajj, il pellegrinaggio alla Mecca e adesso il figlio certamente arriverà. Il nome è pronto: Mohammad se sarà un maschietto, o Fatima se sarà una femmina. Il pellegrinaggio l’ha riempita di gioia: in ricordo ha comperato un anello, che porta al dito e che mi mostra con grande soddisfazione, e due morbidissime sciarpe, una arancione per sé e una azzurra, ricamata, splendida: “Per te, maestra! Quando ero lì ti ho pensata e ci tenevo tanto a portarti qualcosa”, dice. Resto senza parole, stordita e commossa.

Il giorno di Natale, vado a messa a un orario per me insolito e, a sorpresa, nella mia Chiesa trovo Parween con tutta la famiglia. Sono pakistani cristiani. Perseguitati in patria, sono molto devoti e lei mi porta spesso a lezione il foglietto della messa: vorrebbe capirlo. Ma i testi biblici sono difficili e cambiano a ogni celebrazione, per cui intanto abbiamo cominciato con il “Padre nostro” che Parween seppur con grande fatica, parola per parola, lentamente, ha imparato a memoria. E così, il giorno di Natale, in piedi, vicine, nello stesso banco, possiamo recitarlo assieme dandoci la mano.

E poi c’è Jumana, la signora siriana che in patria lavorava come educatrice di disabili, la incontro in città che mi abbraccia felice perché, adesso che ha imparato l’italiano, potrà finalmente cominciare il tanto desiderato tirocinio per aprire una sua comunità di accoglienza. Piccole, grandi, grandissime cose.

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