Faenza: quadretto autunnale

Donatella Santandrea è una volontaria della Penny Wirton, scuola d’italiano gratuita per migranti, di Faenza in provincia di Ravenna. Anche se insegna da soli tre mesi è particolarmente entusiasta dell’esperienza che ha voluto raccogliere sguardi, sensazioni e parole che solitamente si smarriscono nel frastuono della quotidianità. Tutto quello che normalmente sfugge in questo breve racconto di Donatella resta fermo: un buffo cappello, il primo sorriso di uno studente timoroso, il foyer di un teatro, la pioggia che cade, la famiglia marocchina che arriva in corriera. Una sequenza di immagini che ci restituisce un quadretto autunnale da uno degli angoli più belli del ravennate: aperto, sorridente, frizzante e multiculturale.

Quadretto autunnale
di Donatella Santandrea

A Faenza, in provincia di Ravenna, nel luminoso foyer del teatro I Filodrammatici si svolgono le lezioni della scuola Penny Wirton. Qui  a volte capita di sbirciare gli attori in prova dietro le tende rosse, oppure quando finiamo le lezioni sbuca una bella dama o un contadino dai camerini. Dopotutto “life is a stage”, mi dico. Quando siamo in troppi, e succede spesso, ci trasferiamo in un’altra ala dell’edificio, al quarto piano di una struttura per anziani. C’è anche uno studio dentistico, una chiesa e un parco dove allenano i cani. Appena fuori c’è un asilo, un grande ospedale con il pronto soccorso. Dentro abbiamo sedie e tavoli di plastica che sarebbero da esterno e dobbiamo riporli dopo l’uso. L’atmosfera è serena, a volte anche allegra. Quello che fa più bene sono i sorrisi, soprattutto quelli di chi fa fatica a farli. Tra tutto quello che ci passa sotto agli occhi, mi è rimasta nella testa una piovosa serata novembrina. E la ragazzina marocchina che oltre all’italiano sta imparando l’inglese, così di lingue ne sa già quasi quattro, e viene in corriera con la sorella e la mamma: tutte hanno sorrisi dolcissimi. E ci sono le sorelline pakistane che vengono a piedi dal centro: chiedono il permesso di interrompere la lezione all’ora stabilita per poter pregare. Il ragazzino indiano che non ti guarda negli occhi, non sorride mai, ma sotto alla testa calata ha uno sguardo immenso e bellissimo. Il ragazzo cinese timidissimo che finalmente ride per quel buffo cappello rosso con una civetta ricamata che Gloria si sta infilando in testa. La lezione è finita, Gloria esce e fuori piove a dirotto. Salgo in bicicletta, accanto a me pedala un’altra insegnante. L’ho vista a lezione, è giovane, non la conosco. Ma piove e ci presentiamo alla meno peggio sotto al diluvio. Lei ha un seggiolino piccolo sul suo portapacchi. Forse ha un bimbo. Glielo chiedo. Quattro, mi risponde.

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